Location: Pieve di San Siro
Incontro con l’autrice: domenica 17 settembre, ore 20.00
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Di viaggi il tempo ce ne può offrire molti. Oggi low cost, esotici, per riposare ed anche per fotografare, come se di immagini non ne avessimo già abbastanza in questo mondo di cortocircuiti formali dove tutto sta dentro una piccola schedina da processore.
Ma di viaggi “magnifici” dentro la propria memoria e soprattutto dentro i luoghi che la sanno accogliere con la levità di un gesto antico ne abbiamo sempre bisogno e vanno accolti come se si sprofondasse non solo nel tempo ma nell’immaginazione.
Di Serena abbiamo seguito i primi passi, il piglio sicuro, la voglia di pittura. Poi abbiamo apprezzato quello sguardo fotografico avvolgente che sapeva mescolarsi col segno come se effettivamente fossero nati assieme. In tutto ciò c’era una specie di frenesia, come se il viaggio ed il desiderio avessero impresso un cinetismo strano alle sue azioni.
Ora siamo ad accoglierla con la sua piccola nostalgia personale.La nostalgia è un’attività dell’epoca matura, si vede infatti che Serena sta crescendo a vista d’occhio, dopo la natura morta che appartiene all’apprendistato, il viaggio al tempio che è parte della formazione. Lo sguardo però è sempre lo stesso. Qui è interiore. Arriva solo pochi metri dietro la casa dove è nata. E’ bastata una nevicata improvvisa, rovistare nella camera speciale della sua fanciullezza, per far rotolare fuori improvvisi gli eccitatori di un’attività solitaria che un tempo la riempiva di piacere,
dei balocchi accatastati proprio come fossero stati deposti la sera prima al termine dei giochi.La propria natura di fotoreporter che sta ad un metro dall’azione ha fatto il resto. Così, “leggermente fuori fuoco”, ha ripreso lo sguardo di se stessa bambina ma non col distacco del tempo dentro la nebulosa di un sogno, bensi nell’agòne del gesto che dispone i balocchi nella neve, a fianco di un piccolo ruscello dove ha imparato a vivere la natura, nel bel mezzo di quella guerra dei sensi e del destino di cui conserva ancora nello sguardo la magia.
– Piero Cavellini
Tutto questo è In punta di piedi, la mostra di Serena Gallini per SEGNI Festival Fotografia.
L’abbiamo vista fotografa, pittrice e anche modella. E ora Serena Gallini (Milano, 1977), artista diplomata all’Accademia di Brera che vive e lavora a Brescia, si mostra come bambina, presentando due inedite serie di lavori. Si tratta infatti di opere che richiamano la sua fanciullezza attraverso fotografie nitide, dove la Gallini riprende e rievoca “l’immagine di sé stessa bambina – dice Piero Cavellini, curatore della mostra – ma non col distacco del tempo dentro la nebulosa di un sogno”. Utilizza la macchina fotografica come un mezzo di pari importanza rispetto al pennello, dove l’immagine fotografica funge a volte da supporto che dialoga con l’intervento pittorico successivamente apportato, a volte come un utile modo per prendere “appunti”, altre volte ancora come parte di una serie di lavori.
Quest’ultima è la modalità che contraddistingue le due serie di lavori esposti al Museo Ken Damy di Brescia, opere dove il soggetto principale è la bambola, gioco di infanzia, ma che diviene allo stesso tempo una sorta di alter egodell’artista. La bambola si anima, diviene essere pensante, ammicca, si mette in posa, gioca con alcuni compagni della sua stessa natura, ovvero altri giocattoli cari all’artista-fanciulla. Nella serie del 2006, In punta di piedi (realizzata con negativo in bianco e nero) è una bambola che “recita” la parte della bambina, che prende vita anche grazie al contesto in cui è inserita: un panorama innevato in cui essa intesse rapporti con gli altri personaggi-pupazzi che le stanno vicini. Nella serie del 2007, Dal paese delle meraviglie (a colori) essa è invece decontestualizzata, inserita all’interno di una sorta di set fotografico, dove la totale mancanza di ambientazione a favore di un nero piatto e denso rende di forte suggestione e allo stesso tempo straniante la sua presenza.
E’ un grande “gioco”, eseguito da Serena Gallini utilizzando proprio quelli che per lei furono i giochi d’infanzia. Che qui divengono protagonisti di un’altra realtà, animata da personaggi inanimati, facendo di queste due serie la documentazione di un mondo delle meraviglie, di carrolliana memoria, a cui si accede non attraverso lo specchio (come per Alice) ma attraverso l’obiettivo fotografico. E come Lewis Carroll – che tra l’altro fu uno dei più importanti fotografi dell’epoca vittoriana – mise in scena nelle sue opere letterarie racconti pieni di allusioni al suo tempo, così fa Serena Gallini: le sue bambole, attraverso i giochi di sguardi e la disinvoltura con cui mostrano la propria nudità, sembrano voler richiamare alcuni tratti che caratterizzano oggi il rapporto tra la donna e il suo mostrarsi, tra la donna ed il proprio corpo, tema a cui l’artista ha già insistentemente guardato in vario modo in alcuni suoi precedenti lavori.